London School of Economics: “Non rimarrà nulla dell’Italia”
Pubblicato il ottobre 17, 2013
di ABATE FARIA
Nel giro di 10 anni del nostro Paese non rimarrà più nulla. O quasi. E’ la conclusione catastrofica cui giunge nella sua analisi il professore Roberto Orsi della London School of Economics and Political Science (LSE).
Che cosa ci sta portando alla dissoluzione e all’irrilevanza economica?
Una classe politica miope che non sa fare altro che aumentare le tasse
in nome della stabilità. Monti ha fatto così. E Letta sta seguendo
l’esempio. Il tutto unito a una ”terribile gestione finanziaria,
infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia
inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile
d’Europa”.
L’ANALISI DI ORSI
“Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso
perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di
nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una
condizione di desertificazione economica, di incapacità di
gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta
verticale della produzione culturale e di un completo caos politico
istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato
italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti
del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito
pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà.
Il governo sa perfettamente che la
situazione è insostenibile, ma per il momento è in grado soltanto di
ricorrere ad un aumento estremamente miope dell’IVA (un incredibile
22%!), che deprime ulteriormente i consumi, e a vacui proclami circa la
necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese alle
rendite finanziarie. Le probabilità che questo accada sono
essenzialmente trascurabili. Per tutta l’estate, i leader politici
italiani e la stampa mainstream hanno martellato la popolazione con
messaggi di una ripresa imminente. In effetti, non è impossibile per
un’economia che ha perso circa l’8 % del suo PIL avere uno o più
trimestri in territorio positivo.Chiamare un (forse) +0,3% di aumento annuo “ripresa” è una distorsione semantica,
considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni. Più
corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a
una sorta di stagnazione.
Il 15% del settore manifatturiero
in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è
stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo
dato da solo dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il
Paese subisce. Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica
enormemente degradata dell’élite del Paese, che, negli ultimi decenni,
ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza
mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna
pianificazione significativa del futuro della nazione. L’Italia non
avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in
condizioni peggiori.
La leadership del Paese non ha
mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a
basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in
Italia negli stessi settori. Ha firmato i trattati sull’Euro
promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in
politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini
dell’UE sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente
in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a
Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e
proteggere i suoi confini. Di conseguenza , l’Italia si è rinchiusa in
una rete di strutture giuridiche che rendono la scomparsa completa della
nazione certa.
L’Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese più alto dell’UE e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di terribile
gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione
onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento
e inaffidabiled’Europa, sta spingendo tutti gli imprenditori
fuori dal Paese. Non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a
basso costo, come in Oriente o in Asia meridionale: un grande flusso di
aziende italiane si riversa nella vicina Svizzera e in Austria dove,
nonostante i costi relativamente elevati di lavoro, le aziende
troveranno un vero e proprio Stato a collaborare con loro, anziché a
sabotarli. A un recente evento organizzato dalla città svizzera di
Chiasso per illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino
hanno partecipato ben 250 imprenditori italiani.
La scomparsa dell’Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che
emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in
Nord America e Asia orientale. Coloro che producono valore, insieme
alla maggior parte delle persone istruite è in partenza, pensa di andar
via, o vorrebbe emigrare. L’Italia è diventato un luogo di saccheggio
demografico per gli altri Paesi più organizzati che hanno l’opportunità
di attrarre facilmente lavoratori altamente, addestrati a spese dello
Stato italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non
potranno mai avere in Italia.
L’Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi – collasso nel 2011, un
evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è
stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio
del Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la
Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in
Italia nei confronti dell’UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo.
Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia
il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica,
che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine
repubblicano. L’interventismo del Presidente è particolarmente evidente
nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi
espressione diretta del Quirinale.
L’illusione ormai diffusa, che molti
italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d’Italia e la
burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L’attuale
leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare
il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato
la già grave recessione. Letta sta seguendo esattamente lo stesso
percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della
stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei
partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle
loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno
risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere
una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della
scomparsa dell’Italia.
In conclusione, la rapidità del declino è davvero mozzafiato. Continuando su questa strada, in meno di una generazione non rimarrà nulla dell’Italia nazione industriale moderna.
Entro un altro decennio, o giù di lì, intere regioni, come la Sardegna o
Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai
più recuperare.
I fondatori dello Stato italiano 152 anni
fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare
l’Italia a quella posizione centrale di potenza culturale ed economica
all’interno del mondo occidentale, che il Paese aveva occupato solo nel
tardo Medio Evo e nel Rinascimento. Quel progetto ora è fallito, insieme
con l’idea di avere una qualche ambizione politica significativa e il
messianico (inutile) intento universalista di salvare il mondo, anche a
spese della propria comunità. A meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l’Italia.”
Fonte http://www.affaritaliani.it/economia/london-school-economics171013.html
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